Chas (spassoso Brad Pitt) e Linda Liztke (notevole Frances McDormand) trovano nella palestra in cui lavorano la biografia non ancora conclusa di un ex agente della Cia, l’alcolista e psicopatico Osborne Cox (John Malkovich perfetto per la parte), e pensano di poterci ricavare dei soldi. Da qui si dipana l’intricata vicenda che farà convergere le erranti sorti di questi personaggi insieme a quelle di uno sceriffo federale sessuomane e ipocondriaco, interpretato da George Clooney, e della sua amante, nonché gelida e anaffettiva consorte di Osborne, Tilda Swinton.
La più recente fatica dei fratelli Coen inizia come una commedia, ma termina in tragedia. In realtà, il termine “tragedia”, inteso nella sua accezione più classica, si rivela non totalmente appropriato, se non del tutto fuorviante. Il lungometraggio procede, infatti, in modo così grottesco e istupidito che dopo il primo morto accidentale, il solo che colpisce la nostra attenzione, se non altro perché improvviso e inaspettato rispetto almeno alla prima parte del film, niente può più scuotere lo spettatore. E’ tutto così assurdo, freddo e distaccato. Non c’è il pathos e il tormento dei personaggi tragici, uomini angosciati dalle loro azioni o afflitti e oppressi da una scelta che si palesa impossibile, ma che deve essere ugualmente intrapresa. Per essere più esatti o netti, si potrebbe dire che non ci sono affatto uomini, soggetti o azioni (tutte parole che sottendono un essere attivi). E in questo modo non esistono nemmeno veri e propri colpevoli, poiché questi burattini o pupazzi rincretiniti nelle mani del Caso o della Cia, veri burattinai dello spettacolo, non sono neanche passibili di responsabilità. E’ evidente quindi che non ci troviamo di fronte ad una tragedia sofoclea o shakesperiana, ma piuttosto davanti ad un testo di Beckett o di Ionesco, massimi rappresentanti del teatro dell’assurdo.
La coppia di registi americani ha dichiarato che
Burn After Reading è il terzo tassello della “trilogia dell’idiota”, insieme ai precedenti
Fratello dove sei? e
Prima ti sposo e poi ti rovino. Tuttavia, analizzando con attenzione e puntualità il complesso della loro produzione mi sembra di scorgere molte più analogie e affinità con altri due loro film: il loro esordio cinematografico
Blood Simple e il meno remoto
Fargo. Del primo dei due, quest’opera potrebbe assumere anche il titolo: “blood simple” infatti è un’ espressione gergale che significa “inebetito dal sangue”…e chi è più inebetito di Harry Pfaffer (Gorge Clooney) quando si accorge che in preda ad un attacco di panico ha ucciso il malcapitato Chas? Se possiamo affermare che
Blood Simple e
Fargo rappresentano un mondo d’idioti, ebeti e narcotizzati, intrappolati in un sistema incrociato di fraintendimenti reciproci che li condurranno per errore ad un finale drammatico, non potremmo sostenere lo stesso per
Burn After Reading? I vari comprimari del film sono esseri totalmente inabili a comunicare e a decifrare la realtà, assorbiti e ossessionati come sono dalle loro numerose nevrosi riguardanti il sesso, le malattie, i soldi e naturalmente l’apparenza o presenza fisica; a questo proposito, non dimentichiamoci che motore della pellicola è l’ipotetica somma di denaro di cui ha “bisogno” Linda per sottomettersi a quattro interventi di chirurgia estetica che la riscattino dal suo corpo di cinquantenne. Assoluti inetti, non possono sopravvivere in un universo informe e beffardo, dove tutto quello che succede non è voluto o perseguito, ma è inintelleggibile e dovuto al Caos/Caso. Tutti ignorano tutto. I soli onniscienti e quindi in grado alla fine di tessere le conclusioni della vicenda sono i due agenti dei servizi segreti, anche loro comunque incapaci di agire sulla situazione, ma insanabilmente costretti a subirla e a subissare al massimo le cosiddette “fuoriuscite”.
Più che una parodia delle spy-stories americane (anche se è evidente anche questo elemento, tipico d’altra parte dei due autori, che non fanno altro in ogni loro film che cimentarsi in un genere cinematografico per rivoltarlo e svuotarlo dall’interno), un’opera disillusa, nera e amara, che ha come suo epicentro il nulla e che in una maniera certo più ”scanzonata” e caustica rimanda alla riflessione esistenzialista del più intellettuale, più astratto e più dichiaratamente filosofico
L’uomo che non c’era.