007 torna di nuovo con il ventunesimo film della saga e per la sesta volta cambia faccia. Assume quella dura, imperfetta e
proletaria del Daniel Craig di The Mother. La sua scelta, dopo il rifiuto di Christian Bale, Hugh Jackman, Jude Law, ha
scatenato le ire dei fan, che non vedevano in Craig un degno sostituto del più famoso Bond, cioè Sean Connery. Ma proprio
la faccia di Craig, così fuori posto nell’universo bondiano, calza perfettamente a Casinò Royle che si avvia a diventare il
film migliore della serie. I produttori hanno deciso di portare sullo schermo la prima storia in cui compare James Bond,
Casinò Royale, portato sullo schermo solo una volta in chiave di parodia con David Niven e un giovanissimo Woody Allen.
Nel film troviamo tutti i leit motiv della serie, a cui viene data una spiegazione come se comparissero per la prima volta.
Questo conferma, forse, una tendenza che ultimamente si ripete volentieri nell'esplorare la nascita dei miti. Da Batman
Begins di Chrisotpher Nolan, alla vita del giovane Superman nel telefilm Smallville. James Bond non fa eccezione. L’agente
007 è sempre stato un uomo senza passato, che vive in un eterno presente, sopravissuto a quarantaquattro anni di schermi
cinematografici, senza invecchiare mai, ma cambiando faccia, accentuando il fatto che il personaggio fosse più importante
dell’attore che lo interpretava. Alla sua prima apparizione Bond è già agente col doppio zero, quindi con licenza di
uccidere, già padrone di quell’understantment che sarà la cifra stilistica del suo personaggio: “Are you looking for shell
too?” chiede Ursala Andress, che esce dalle acque come la venere di Botticelli, “No, just looking”, risponde Bond. Sean
Connery raggiunge il culmine, e con lui tutta la serie, con Goldfinger. Pieno di scene memorabili, Bond, che indossa sotto
la muta da sub un impeccabile smoking bianco, il cappello tagliente di Oddjob e la ragazza tutta d’oro, il suo fascino è
ancora oggi insuperato. Sembra che Fleming considerasse Connery troppo rozzo e non lo volesse assolutamente. Ma nonostante
questo, e un'iniziale calvizia all’età di vent’anni (in scena porta un parrucchino), riuscì a trasfondere nel personaggio
di James Bond ironia e humor, non prendendo mai sul serio il suo ruolo di spia né quello di tombeur de femmes (mai
definizione si attanagliò meglio a qualcuno, credo). A rendere interessanti i primi film contribuivano anche i gadget e
gli effetti speciali che facevano intravedere il futuro della tecnica, un futuro che non arrivò mai, anche se ancora tutti
noi sogniamo nel traffico cittadino di poter lanciare missili dai fanali o far uscire rostri dalle gomme schiacciando
soltanto un pulsante.
Quando Connery lascia dopo cinque film, viene sostituito da George Lazenby, il più sfortunato tra gli interpreti, che si
deve accollare la pesante eredità dello scozzese e la storia più romantica tra quelle che vedono per protagonista 007, cioè
Al servizio segreto di sua maestà, durante la quale James Bond convola pure a giuste nozze con la figlia del capo di
un’organizzazione criminale. Tragicamente, la moglie viene uccisa da sicari subito dopo il matrimonio, e Lazenby perde
subito il posto a favore di Roger Moore, una delle prime scelte di Fleming, dopo un’altra parentesi di Connery.
Moore interpreta Bond con l’atteggiamento di chi è capitato sul set per caso e non si prende mai sul serio. Moore, inoltre,
ha già 46 anni quando accetta il ruolo e l’ultimo film lo vede cinquantottenne, con il regista che si deve adeguare alla
sua età per cui è costretto a togliere le scene d’azione, altro marchio della serie, per passare a un maggior impiego delle
armi da fuoco.
Siamo alla fine degli anni ’80, è iniziato il disgelo e la caduta del muro di Berlino rende sempre più difficile trovare
nemici credibili per l’agente al servizio segreto di sua maestà. Judi Dench, splendida M, dice, in Casinò Royale, di
rimpiangere la guerra fredda. All’inizio della serie, infatti, l’organizzazione criminosa SPECTRE odorava di collaborazione
con i servizi segreti russi, come voleva la contrapposizione fra blocchi. Si cerca, dunque, di svecchiare la serie: nel
ruolo entra Timothy Dalton, altra scelta di Fleming all’inizio della serie, e la regia si aggiorna. Ci si avvicina di più
all’estetica degli action movie anni ’80, i film diventano più violenti ed efferati, snaturando però la natura della serie.
Dalton resiste solo due episodi e la serie subisce un battuta di arresto di circa sei anni. Sembra che il mondo, non abbia
più bisogno di 007, senza contare che l’ultima puntata con Dalton è del 1989, l’anno del crollo del Muro di Berlino, il
mondo dei blocchi contrapposti non esiste più, e Bond sembra un anacronismo.
Nel 1995 arriva il Bond degli anni ’90, il nord-irlandese Pierce Brosnan, come vuole la tradizione che ad interpretare James
Bond sia un suddito di Sua Maestà Britannica. Il primo film, Goldeneye, sembra quello del definitivo rilancio: si svolge
nel caos della Russia post comunista, quasi un rimando alle prime avventure di 007, la Bond Girl è una informatica russa,
non più spie mozzafiato quindi, ma donne in grado di tenergli testa: una spia cinese campionessa di arti marziali, una
scienziata, fino ad Halle Berry, che esce dal mare vestita come Ursula Andress, che riesce sempre ad essere un passo avanti
a lui. Brosnan si trova a suo agio nei panni di un Bond ironico e sornione, che nei film, però, viene fatto apparire come
un personaggio superato, un relitto di un mondo che non c’è più (come sottolinea una battuta di Q). In Goldeneye, infatti,
Bond mostra di non avere alcuna competenza informatica, e il suo ruolo è quello di combattente e distruttore. Inoltre, le
storie che vedono Brosnan protagonista diventano sempre più assurde e se i tentativi di uccisione da parte dei suoi nemici
erano sempre stati elaborati e irreali, in questi film si raggiunge il punto limite: Bond è inseguito da un elicottero su
cui è montata una motosega. I film deludono e Brosnan si sente troppo vecchio per continuare (abbandona alla soglia dei 50
anni).
I produttori si mettono così alla ricerca del quinto Bond ma non è facile. James un personaggio che ha superato i
quarant’anni di vita cinematografica, un personaggio che può legare una carriera e che deve tenere alte le aspettative di
milioni di fans. Contro tutto e tutti, come abbiamo detto all’inizio, alla fine la scelta cade su Daniel Craig.
Questo film segna uno scollamento deciso dal resto della serie. Tutti i particolari che hanno accompagnato 007 durante la
sua vita cinematografica cambiano o spariscono: mancano Q e Miss Moneypenny, l’inizio è in bianco e nero come un noir
anni ’40, la scena del mirino è inserita nel contesto della storia e apre i titoli di testa, non li chiude. I titoli di
testa, senza sagome di donne nude, e una canzone che non riprende il titolo del film. Tutto questo per presentare uno 007
rude, rozzo, indisciplinato e insubordinato, che sa cavarsela da solo, come sempre, e che si innamora. Questo film, che è
l’ultimo, in realtà racconta la nascita di 007, come ha conquistato la licenza di uccidere, come è diventato quello che è:
il suo rapporto con le donne e quello tormentato con il suo capo M, di cui arriva a scoprire il nome dopo essersi introdotto
in casa sua. Il miglior agente dell’MI6, ma anche una mina vagante che va tracciato con un microchip sottopelle. Uno 007
pronto a lasciare tutto per la donna che ama, ma anche egocentrico e troppo sicuro di sé: non a caso è proprio Daniel Craig
ad uscire dall’acqua in costume come avevano fatto le Bond Girl in altri film. Sempre qui, inventa il vodka Martini, di cui
dà per la prima volta la ricetta secondo i dettami di Ian Fleming: 3 parti di Gin, 1 di vodka, e mezza parte di Kina
Lillet. Anche se quando il cameriere chiede se lo voglia shekerato o mescolato, risponde “Pensi che me ne freghi
qualcosa?”.
E' alla fine del film che Bond diventa Bond, quando il nemico gli chiede “Tu chi sei?” e lui risponde “Il mio nome è Bond,
James Bond.”