Da dove le è venuta l’idea per L’Età Barbarica?
Grazie al successo de
Le Invasioni Barbariche ho trascorso un anno in giro per il mondo a rilasciare
interviste. Proprio un anno intero, fra Cannes e gli Oscar l’anno successivo. Dopo tre mesi di questa vita ho pensato:
“C’è qualcuno al mondo che vorrebbe stare al mio posto?” E così ho cominciato ad immaginare un individuo che non è mai
apparso in TV, a cui nessuno ha mai messo un microfono davanti alla bocca, che sogna di essere intervistato, di incontrare
star del cinema e di dire la sua sul-la società. E così è nato Jean-Marie Leblanc.
Ha scritto il ruolo per Marc Labrèche?
Non conoscevo Marc personalmente, ma è un comico famosissimo in Quebec. Abbiamo passato un giorno insieme per parlare di un
altro progetto, proprio prima che io cominciassi a scrivere
L’età barbarica, e mi sono reso conto che ridevamo delle
stesse cose. Aveva anche l’età giusta e un aspetto da uomo della strada, ma la cosa principale è che eravamo esattamente
sulla stessa lunghezza d’onda. La sfida per me era quella di capire come questo individuo ordinario po-tesse riuscire a fare
qualcosa della sua vita. Che soluzioni potevo trovare per lui?
Come regista, il cinema è un modo per prendere posizione rispetto alla società?
C’è un bellissimo modo di dire a Hollywood: “Se ti preme mandare un messaggio, chiama la Western Union”. Non è che io non
abbia niente da dire sul mondo in cui viviamo, è che posso dirlo solo sotto forma di una storia. Ma è una storia con
aspetti simbolici, questo sì. Non potrei mai fare un dramma a tutto tondo, così come non potrei mai realizzare 90 minuti
di pura commedia. I miei film oscillano sempre tra commedia, tragedia, farsa, melodramma… E’ per questo che faccio il
regista e non l’attivista politico, perché tendo a vedere sempre i due lati di ogni problema.
La vita di Jean-Marc è opaca e senza amore, ma i suoi sogni sono pieni di donne che lo adorano…
Colmano un grosso vuoto sia sul piano affettivo sia sul piano sessuale. Comincia tutto quando Jean-Marc dice a sua moglie,
a letto: “Sono preoccupato per mia madre”. E lei replica : “Ah, si?” e continua a giocare con il suo Gameboy. Jean-Marc va
nel capanno in giardino e lì incontra Diane Kruger che gli domanda: “Come sta tua madre?” E’ questo che vuole sentirsi
chiedere, e che nessuno gli chiede mai. Se devi avere un’amante immaginaria, tanto vale che sia Diane Kruger, con un
bicchiere di champagne in mano e il fuoco sotto la pelle. Quando si sogna non ci sono limiti.
Il film introduce nuovi personaggi, ma è animato dallo stesso spirito de Il Declino dell’Impero Americano e de Le
Invasioni Barbariche…
E’ la conclusione della mia trilogia. Dopo
Il Declino dell’Impero Americano e
Le Invasioni Barbariche che
altro? I secoli bui. Io ho l’impressione che ci incamminiamo verso un nuovo Medio Evo. E’ un tema che voglio sviluppare
perché in fondo che cosa rappresenta il Medio Evo? La guerra contro l’Islam, gli infedeli, le crociate… Tutte cose che
stiamo vivendo adesso. E rappresenta anche l’improvviso desiderio delle donne di rendersi inaccessibili e di farsi
recitare poesie dagli uomini.
Ci sono ancora speranze per Jean-Marc?
Ci sono molte speranze, ma non so che cosa davvero augurargli. Introduco un riferimento autobio-grafico alla fine del film,
mostrando delle mele in una ciotola che si trasformano nelle mele di Cézanne. L’Arte è la mia salvezza. La mia soluzione
è quella di fare cinema. Non è necessariamente la soluzione che sceglierà Jean-Marc. Forse tornerà in città, forse resterà
in campagna. Non è importante quello che fa ma quello che sa. Non è questione di ambiente. Si può trovare pace nel cuore
di una grande città. Questo bisogna trovare – pace e serenità.