FUORISCHERMO

 

IL MIO MITRA
E' UN CONTRABBASSO
dieci anni fa...materiale resistente
MANUEL GIACOMINI

FLYER Prologo. Un cielo gravido di pioggia incombe su una pianura sterminata. Più che la campagna che avvolge l’emiliana Correggio sembra il Nebraska. In questa distesa infinita cominciano ad addensarsi in un punto di raccolta ben definito piccoli gruppi di persone. La maggior parte di queste costituisce un esercito multicolore di giovani dalla policromia spenta a causa delle cupe condizioni climatiche. Parrebbe il consueto “popolo del rock”, quello che riempie gli stadi, i palazzetti e le piazze di tutto il mondo, anelante di fronte ai propri miti e pronto a partecipare al rivitalizzante ed estatico “rito collettivo”.
Ma in mezzo a questo nucleo che si allarga ora dopo ora cominciano a notarsi alcuni “estranei” dalle teste canute, vestiti di sobria e dignitosa eleganza. Si avvicinano con passi segnati dal tempo e guardano l’orizzonte di questa pianura senza fine come se ne conoscessero ogni metro. Sono i ribelli di Correggio (“partigiano è una parola troppo intellettuale” come dice uno di loro) ed oggi è il 25 aprile 1995.

Materiale resistente. Avevo quasi dimenticato di possederla. Dopo dieci anni ho estratto questa videocassetta impolverata dal mio scaffale. La documentazione filmata da Guido Chiesa e Davide Ferrario di un evento che ha creato un ponte significativo tra due generazioni.
Un concerto organizzato dal comune di Correggio per celebrare il 50° anniversario della Resistenza. Vi partecipano alcuni tra i gruppi più importanti della scena rock nazionale dai CSI ai Modena City Ramblers. E fin qui niente di nuovo, se non fosse per il fatto che gli artisti propongono rielaborazioni personali del patrimonio musicale resistente. Canti partigiani riletti secondo la particolare ispirazione di ogni gruppo; un’operazione che, in una sola giornata, svuota la retorica di tutte le commemorazioni compiute negli anni precedenti, incapaci di attirare l’attenzione di una gioventù sovraccaricata di messaggi.

“Come leggenda saremmo stati magnifici”. Sono le parole di un'anziana partigiana che aprono il documentario. In esse l'amarezza per non essere stati capaci di comunicare il senso della scelta antifascista dei giovani ventenni di allora e il desiderio di bruciare tutti gli insignificanti documenti e diventare così..leggenda.
Una generazione di ribelli ben rappresentata dalle interviste di Chiesa e Ferrario. Uomini e donne dal pensiero lucido, che sanno identificare il nemico. Combattenti che nella loro passato hanno preso in mano un’arma, ma che ora odiano la parola “guerra”… per loro, per i loro figli e per i loro nipoti. Ombre, capaci di uscire silenziosamente dalla storia, che GUIDO CHIESA trasudano semplice saggezza contadina e mesta disillusione (“perché in fondo abbiamo ammazzato solo dei poveracci, i veri responsabili non li hanno nemmeno processati”).
Di loro Guido Chiesa dice: “Intervistandoli mi sono sentito sciocco, insignificante e banale.”

“Ci ha portati la scuola”. Risponde così uno studente all'intervistatore che gli chiede il motivo della sua partecipazione ad una manifestazione per la festa del 25 Aprile. In queste innocenti parole si manifesta il vuoto che si è creato intorno ai "giovani resistenti" degli anni 40. Un vuoto che ci fa assaporare l'ordinaria sufficienza con la quale le istituzioni abbiano cercato di trasmettere il valore della resistenza alle nuove generazioni, "calando dall'alto" messaggi senza chiedersi se fossero giunti al destinatario.
Il risultato è chiaro: una memoria soffocata da ampollosa retorica. Inaridite parole buttate nel calderone di in un mondo giovanile che, anche nelle realtà più impegnate e sensibili (centri sociali, volontariato, associazionismo) manifesta difficoltà oggettive nell’interpretare le subdole e difficilmente riconoscibili “fascistizzazioni” del presente.

Un campo nei pressi di una casa di latitanza. E’ il luogo dove si svolge il concerto e nel quale si uniscono idealmente due generazioni che forse non si sarebbero mai incontrate. E la musica fa gli onori di casa, oltre ad essere lo scheletro portante del lavoro di Guido Chiesa e Cesare Ferrario. Alle interviste si alternano brevi momenti di esibizione dei gruppi coinvolti. Le magie ipnotiche degli Ustmamò sembrano alleviare gli stenti dei ribelli della montagna; il folk demenziale degli AFA esalta l’epica della guerriglia; i suoni lancinanti dei Marlene Kuntz ricordano le dure rappresaglie dei fascisti, i Modena City Ramblers allungano la vita di “Bella Ciao” facendola cantare e ballare con foga inaspettata.
Il partigiano Johnny, figlio di Fenoglio, danza sul reggae-dub degli Africa Unite e il Comandante Diavolo viene evocato da Giovanni Lindo Ferretti per insegnare a tutti “che occorre essere attenti USTMAMO' e scegliersi una parte dietro la linea gotica”. E sarà proprio lui Germano Nicolini, “al dievel”, a salire sul palco per sigillare una nuova alleanza con le cinquemila persone che lo circondano affermando con commossa semplicità: “io questa musica non sempre la capisco, ma sento che viene dall’anima”.

Epilogo. E' finito tutto. Ora il palco è vuoto e la campagna è deserta e muta. Si ha quasi la sensazione di udire da lontano la voce di Ettore Bergamini* che narra con concitazione una delle tante battaglie combattute in luoghi come questo, oppure Marco Paolini che chiama per nome i sette fratelli Cervi **. Ma sono soltanto la fugaci apparizioni di fantasmi.in realtà il silenzio che grava nelle ultime immagini di questo documento ci impone una domanda dalla quale non possiamo sfuggire: "e ora.che fare?".
Quali mezzi utilizzare per perpetuare questa splendida leggenda senza cadere nel baratro asfittico della sterile magniloquenza; per continuare a ricordare che ci sono stati nella storia del nostro paese uomini e donne comuni che hanno scelto la latitanza e la lotta per regalarci quella libertà della quale ora godiamo. Un’opzione che dobbiamo rendere sempre più “resistente”. Una scelta che ha una precisa responsabilità storica e che, al di là dell’umana pietà che possiamo provare per tutti i morti di ogni maledetta guerra , non possiamo svendere al primo offerente, equiparandola a quella di chi ha intrapreso la strada opposta.


* uno dei protagonisti del romanzo "54" scritto dal collettivo Wu Ming

** "Sette fratelli" (Testo di Gianni Rodari) dall'album "SPUTI" di Marco Paolini e i Mercanti di Liquore