Prologo. Un cielo gravido di pioggia incombe su una pianura sterminata. Più che la campagna che avvolge l’emiliana
Correggio sembra il Nebraska. In questa distesa infinita cominciano ad addensarsi in un punto di raccolta ben definito
piccoli gruppi di persone. La maggior parte di queste costituisce un esercito multicolore di giovani dalla policromia
spenta a causa delle cupe condizioni climatiche. Parrebbe il consueto “popolo del rock”, quello che riempie gli stadi, i
palazzetti e le piazze di tutto il mondo, anelante di fronte ai propri miti e pronto a partecipare al rivitalizzante ed
estatico “rito collettivo”.
Ma in mezzo a questo nucleo che si allarga ora dopo ora cominciano a notarsi alcuni “estranei” dalle teste canute, vestiti
di sobria e dignitosa eleganza. Si avvicinano con passi segnati dal tempo e guardano l’orizzonte di questa pianura senza
fine come se ne conoscessero ogni metro. Sono i ribelli di Correggio (“partigiano è una parola troppo intellettuale” come
dice uno di loro) ed oggi è il 25 aprile 1995.
Materiale resistente. Avevo quasi dimenticato di possederla. Dopo dieci anni ho estratto questa videocassetta impolverata
dal mio scaffale. La documentazione filmata da Guido Chiesa e Davide Ferrario di un evento che ha creato un ponte
significativo tra due generazioni.
Un concerto organizzato dal comune di Correggio per celebrare il 50° anniversario della Resistenza. Vi partecipano alcuni
tra i gruppi più importanti della scena rock nazionale dai CSI ai Modena City Ramblers. E fin qui niente di nuovo, se non
fosse per il fatto che gli artisti propongono rielaborazioni personali del patrimonio musicale resistente. Canti partigiani
riletti secondo la particolare ispirazione di ogni gruppo; un’operazione che, in una sola giornata, svuota la retorica di
tutte le commemorazioni compiute negli anni precedenti, incapaci di attirare l’attenzione di una gioventù sovraccaricata di
messaggi.
“Come leggenda saremmo stati magnifici”. Sono le parole di un'anziana partigiana che aprono il documentario. In esse
l'amarezza per non essere stati capaci di comunicare il senso della scelta antifascista dei giovani ventenni di allora e
il desiderio di bruciare tutti gli insignificanti documenti e diventare così..leggenda.
Una generazione di ribelli ben rappresentata dalle interviste di Chiesa e Ferrario. Uomini e donne dal pensiero lucido, che
sanno identificare il nemico. Combattenti che nella loro passato hanno preso in mano un’arma, ma che ora odiano la parola
“guerra”… per loro, per i loro figli e per i loro nipoti. Ombre, capaci di uscire silenziosamente dalla storia, che
trasudano semplice saggezza contadina e mesta disillusione (“perché in fondo abbiamo ammazzato solo dei poveracci, i veri
responsabili non li hanno nemmeno processati”).
Di loro Guido Chiesa dice: “Intervistandoli mi sono sentito sciocco, insignificante e banale.”
“Ci ha portati la scuola”. Risponde così uno studente all'intervistatore che gli chiede il motivo della sua partecipazione
ad una manifestazione per la festa del 25 Aprile. In queste innocenti parole si manifesta il vuoto che si è creato intorno
ai "giovani resistenti" degli anni 40. Un vuoto che ci fa assaporare l'ordinaria sufficienza con la quale le istituzioni
abbiano cercato di trasmettere il valore della resistenza alle nuove generazioni, "calando dall'alto" messaggi senza
chiedersi se fossero giunti al destinatario.
Il risultato è chiaro: una memoria soffocata da ampollosa retorica. Inaridite parole buttate nel calderone di in un mondo
giovanile che, anche nelle realtà più impegnate e sensibili (centri sociali, volontariato, associazionismo) manifesta
difficoltà oggettive nell’interpretare le subdole e difficilmente riconoscibili “fascistizzazioni” del presente.
Un campo nei pressi di una casa di latitanza. E’ il luogo dove si svolge il concerto e nel quale si uniscono idealmente due
generazioni che forse non si sarebbero mai incontrate. E la musica fa gli onori di casa, oltre ad essere lo scheletro
portante del lavoro di Guido Chiesa e Cesare Ferrario. Alle interviste si alternano brevi momenti di esibizione dei gruppi
coinvolti. Le magie ipnotiche degli Ustmamò sembrano alleviare gli stenti dei ribelli della montagna; il folk demenziale
degli AFA esalta l’epica della guerriglia; i suoni lancinanti dei Marlene Kuntz ricordano le dure rappresaglie dei fascisti,
i Modena City Ramblers allungano la vita di “Bella Ciao” facendola cantare e ballare con foga inaspettata.
Il partigiano Johnny, figlio di Fenoglio, danza sul reggae-dub degli Africa Unite e il Comandante Diavolo viene evocato da
Giovanni Lindo Ferretti per insegnare a tutti “che occorre essere attenti
e scegliersi una parte dietro la linea gotica”. E sarà proprio lui Germano Nicolini, “al dievel”, a salire sul palco per
sigillare una nuova alleanza con le cinquemila persone che lo circondano affermando con commossa semplicità: “io questa
musica non sempre la capisco, ma sento che viene dall’anima”.
Epilogo. E' finito tutto. Ora il palco è vuoto e la campagna è deserta e muta. Si ha quasi la sensazione di udire da lontano
la voce di Ettore Bergamini* che narra con concitazione una delle tante battaglie combattute in luoghi come questo, oppure
Marco Paolini che chiama per nome i sette fratelli Cervi **. Ma sono soltanto la fugaci apparizioni di fantasmi.in realtà
il silenzio che grava nelle ultime immagini di questo documento ci impone una domanda dalla quale non possiamo sfuggire: "e
ora.che fare?".
Quali mezzi utilizzare per perpetuare questa splendida leggenda senza cadere nel baratro asfittico della sterile
magniloquenza; per continuare a ricordare che ci sono stati nella storia del nostro paese uomini e donne comuni che hanno
scelto la latitanza e la lotta per regalarci quella libertà della quale ora godiamo. Un’opzione che dobbiamo rendere sempre
più “resistente”. Una scelta che ha una precisa responsabilità storica e che, al di là dell’umana pietà che possiamo
provare per tutti i morti di ogni maledetta guerra , non possiamo svendere al primo offerente, equiparandola a quella di
chi ha intrapreso la strada opposta.
* uno dei protagonisti del romanzo "54" scritto dal collettivo Wu Ming
** "Sette fratelli" (Testo di Gianni Rodari) dall'album "SPUTI" di Marco Paolini e i Mercanti di Liquore