FUORISCHERMO

 

IL CINEMA E' SACRO?
Dreyer e Pasolini in una speciale rassegna dedicata al rapporto tra cinema e sacro. Ma cosa è sacro?
GIUSEPPE BORRONI

LA RICOTTA Già nei primi anni della sua esistenza (1895 - Léar; 1897 - Lumière; 1899 - Mélies; 1905 - Zecca), il cinema ha avuto a che fare con il sacro. Date e nomi vogliono significare il lunghissimo e profondo legame tra Cinema e Sacro, che è proseguito nel periodo della classicità ed è giunto fino ai giorni nostri, passando per De Mille, Dreyer, Murnau e tutti i maggiori cineasti. In sintesi, dalla sua nascita il cinema cammina insieme al sacro.
È quindi naturale che chi, come noi, si occupa di cultura cinematografica, debba considerare approfonditamente questo rapporto.
Già nel 2000 avevamo affrontato questo tema, in occasione dell’anno giubilare, proponendo un estratto de “La passion” di Zecca e “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini.
Ora torniamo sul tema e presentiamo altre due pellicole di indiscusso valore artistico e tematico: “La passione di Giovanna d’Arco” di C. T. Dreyer (1928) e “La Ricotta”, episodio diretto da Pasolini nel film RO.GO.PA.G (1963). La scelta non è casuale: entrambe le pellicole presentano il tema sacro della Passione (salvifica quella di Cristo e testimoniale quella di Giovanna d'Arco) inscindibilmente legato a quella dell'uomo in senso propriamente "fisico".
Pasolini mette in scena un film nel film, in cui il regista (O. Welles) allestisce una Passione fatta di quadri (Pontormo e Rosso Fiorentino). Ci viene proposto un continuo alternarsi di sacro e grottesco nella visione (bianco e nero/colore), nei dialoghi (italiano/romanesco), nella lingua (quella poetica di Jacopone/quella rude e cinica dei borgatari), nelle musiche (Dies Irae/La Traviata di Verdi). Ci viene continuamente chiesto: "Che cosa è Sacro”? È sacro il tema e la sua rappresentazione o piuttosto le singole vicende di chi vi partecipa? È più sacra la fame di Stracci (il protagonista) - o meglio la sua “vocazione alla fame”- o è più sacro il ruolo di Buon Ladrone che interpreta?
La scelta di Pasolini è chiara: Stracci muore (realmente) sulla croce dicendo la sua battuta. La fame e la miseria (il profano) hanno provocato la morte del buon ladrone (il sacro). Di più: la fame e la miseria hanno sacralizzato una sterile rappresentazione visiva, il ribaltamento è completo.
Dreyer narra invece, il processo e la morte di Giovanna d’Arco attingendo a piene mani alla Scrittura. Molte sono le citazioni più o meno dirette e la stessa struttura ricorda il martirio di Stefano come è descritto negli Atti, che rimanda poi alla Passione di Cristo.
Il tribunale sembra (è) il Sinedrio, le domande dei giudici le torture, gli sputi ricordano (sono) quelli dei racconti evangelici.
GIOVANNA D'ARCO Ma, più che questo, quello che colpisce è l’uso dei simboli. La grata della prigione diventa per Giovanna la croce, quasi in una rivelazione costantiniana: “in hoc signo vinces”. E questo segno l’accompagna anche nella sua preghiera in cella.
Il cesto di vimini che ha in mano all’inizio diventa “corona di spine” nell’oltraggio dei soldati e, forse proprio per questo, il richiamo alla sua missione che la spinge a ritrattare l’abiura, consapevole che la conseguenza sarà il rogo.
Simbolici sono anche gli sguardi: quelli dei giudici che, interrogando, istintivamente distolgono da Giovanna che invece, misticamente rapita, già sembra contemplare “i nuovi cieli e la nuova terra”.
Questa è un passaggio obbligato del film. Dice Dreyer: «Non so come avrei potuto raccontare la storia della condanna a morte di Giovanna d’Arco se non avessi potuto, a mezzo dei primi piani, condurre il pubblico proprio dentro i più intimi meandri dell’animo dei Giovanna e dei Giudici». E pensiamo che al tempo l’uso dei primi piani era fatto con assoluta parsimonia!
La visione di questi film ci può dimostrare che si può parlare del sacro sia affrontando ciò che è meno nobile (ma profondamente umano) come il “rutto” di Stracci, sia narrando la “confessione della fede” del martirio di Giovanna. La chiave può essere l’assoluta congruità che occorre mantenere tra il cosa si vuole dire e come lo si dice, tra significato e significante.
Una riflessione questa, ancor più valida oggi che siamo sommersi dagli effetti speciali e dalle immagini shock anche nelle narrazioni del sacro, a scapito del significato e della profondità della narrazione (vero Gibson?)